Video Game Therapy: quando il gioco diventa cura

Il potere dei videogiochi non risiede solo nella loro capacità di intrattenere le persone.

LO PSICOLOGO DEL FUTURO – (Nr. 11) Video Game Therapy: quando il gioco diventa cura

Messaggio pubblicitario  Come dimostra il recente interesse per i “serious games” (giochi progettati a fini educativi), molte aree possono beneficiare del carattere accattivante dei videogame; una di quelle aree che ha ricevuto una certa attenzione dai ricercatori è quella delle sedute terapeutiche (Ceranoglu, 2010). Analogamente all’importanza che le nuove tecnologie stanno assumendo all’interno del contesto di cura, anche le psicoterapie stanno sempre più includendo l’utilizzo del gioco nella loro pratica. L’utilizzo dei videogiochi come opzione di trattamento della salute mentale ha le sue radici nella teoria dei giochi, introdotta già nel 1975 (Ceranoglu, 2010). I giochi consentono ai pazienti di sentirsi liberi dalle normali pressioni quotidiane, con conseguente capacità di fare più liberamente e esprimere loro stessi. Questo fatto può aiutare i terapeuti e altri professionisti della salute mentale ad arrivare alla radice del disturbo di un paziente, portando a un trattamento più efficace. La terapia del gioco si è rivelata particolarmente utile nel trattamento dei giovani, che sono abituati a interagire con la tecnologia quasi costantemente nel corso della giornata (Ceranoglu, 2010).

Solitamente quando si pensa ai videogiochi è facile pensare alle loro conseguenze negative, che includono la dipendenza, una maggiore aggressività e differenti effetti medici e psicosociali (Griffiths, 2004). Nonostante ciò, dai primi anni ’80 le ricerche su questo tema hanno costantemente dimostrato che giocare ai videogame (indipendentemente dal genere) produce un incremento dei tempi di reazione, una migliore coordinazione oculo-manuale e aumenta l’autostima dei giocatori. Inoltre, anche la curiosità, il divertimento e la natura della sfida sembrano aumentare il potenziale terapeutico di un gioco. Comunemente, i videogiochi sviluppati specificamente per interventi terapeutici o per assistenza sanitaria (spesso indicati come “good games” o serious games) sono stati utilizzati in terapia. Tuttavia, alcuni di quelli commerciali sono stati adattati e utilizzati anche per scopi terapeutici. Infatti, in generale, i giochi consentono ai partecipanti di sperimentare novità e sfide quando sono impegnati in attività di fantasia, senza sperimentare conseguenze nella vita reale (Washburn & Gulledge, 1995). Il videogioco è stato utilizzato anche per stabilire un’efficace relazione paziente-terapeuta, in particolare con i giovani (Ceranoglu, 2010). Attraverso l’immersione nel gioco, ai pazienti ansiosi possono essere presentati stimoli avversivi per eliminare progressivamente la loro ansia e l’adozione di ruoli immaginari è stata utilizzata anche per incoraggiare la pratica di comportamenti sani e sviluppare abilità sociali (Lieberman, 2001). Inoltre i videogiochi hanno un potenziale rilevante anche nel campo della ricerca, in quanto possono fornire ai ricercatori un ampio spettro di profili di persone e loro differenti caratteristiche come ad esempio, età, sesso, etnia, stato di istruzione; in particolare, con le implementazioni di videogame online in contesti clinici, è possibile facilitare l’accesso a persone situate in luoghi fisici diversi e / o fornire terapia a coloro che hanno difficoltà a frequentare i servizi sanitari (Washburn & Gulledge, 1995).

Alcune evidenze scientifiche suggeriscono che abilità importanti possono essere costruite o rafforzate dai videogiochi. La recente videogame therapy è stata utilizzata con successo in numerosi contesti riabilitativi, educativi e terapeuti, che verranno ora brevemente delineati:

Videogiochi e riabilitazione cognitiva

Le aree che possono essere implementate includono disturbi percettivi, pensiero concettuale, attenzione, concentrazione, memoria, cognizione spaziale, calcolo, creatività, plasticità visiva, funzionamento esecutivo, velocità di elaborazione, intelligenza fluida e prestazioni cognitive soggettive e difficoltà con il linguaggio (Reijnders, van Heugten e van Boxtel, 2013).

Videogiochi e disturbi dell’impulsività / deficit di attenzione

Ricerche recenti (Wright, 2001) suggeriscono che i videogiochi, collegati a biofeedback, possono aiutare i bambini con disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD). Il biofeedback insegna ai pazienti a controllare le funzioni corporee normalmente involontarie come la frequenza cardiaca, fornendo in tempo reale le prestazioni di tali risposte, mentre determinati videogame incremento i livelli di attenzione e lavorano sulla componente impulsiva. Con una formazione sufficiente, i cambiamenti diventano automatici e portano a miglioramenti nei voti, nella socialità e nelle capacità organizzative.

Videogiochi e benefici terapeutici negli anziani

Messaggio pubblicitario Si potrebbe sostenere che i produttori di videogiochi hanno fatto molto poco per considerare le persone anziane come potenziali utenti. Ciò potrebbe essere diverso se fossero consapevoli che esiste un numero crescente di prove rispetto agli effetti terapeutici benefici di questi prodotti per gli anziani: dato che giocare ai videogiochi implica concentrazione, attenzione, coordinazione occhio-mano, memoria, capacità decisionale e reazioni rapide, l’attività può essere di grande beneficio per questa particolare coorte. I ricercatori che lavorano in quest’area hanno postulato che il declino intellettuale che fa parte del naturale processo di invecchiamento può essere rallentato (e forse contrastato) coinvolgendo gli anziani come utenti attivi della tecnologia (Farris, Bates, Resnick e Stabler, 1994). Ad esempio, un gioco semplice come Tetris, può coinvolgere la mente in un divertente esercizio di risoluzione dei problemi. La tecnologia con gli anziani può quindi favorire una maggiore indipendenza e può essere utilizzata per scopi terapeutici.

Videogiochi in contesti psicoterapeutici

I terapeuti che lavorano con i bambini hanno utilizzato a lungo i giochi per interagire con i piccoli pazienti. Il gioco è stato una caratteristica della terapia sin dai lavori di Anna Freud e Melanie Klein ed è stato utilizzato per promuovere l’espressione della fantasia e l’esplorazione del sentimento. La recente esplosione tecnologica ha portato a una proliferazione di nuovi giochi che i terapeuti affermano di essere un ottimo rompighiaccio e costruttore di alleanza terapeutica (Gardner, 1991). Gardner (1991) ha affermato che l’uso dei videogiochi nelle sue sedute di psicoterapia forniva un terreno comune tra lui e i suoi piccoli clienti e anche eccellenti opportunità di osservazione comportamentale. Sebbene altre tecniche fossero utilizzate come coadiuvante nella terapia di Gardner (ad esempio, raccontare storie, disegnare, altri giochi ecc.), l’autore ha affermato che fossero i videogiochi i fattori più utili per il miglioramento. La tesi di Gardner è che le tecniche cliniche tendono a cambiare in funzione delle tendenze dei tempi, sebbene gli obiettivi rimangano gli stessi. Attività più lente e più tradizionali possono allungare il tempo necessario per formare una relazione terapeutica, in quanto il bambino potrebbe percepire il terapeuta come distante e non in grado di comprenderlo. Spence (1988) è un altro sostenitore del valore terapeutico dei videogiochi e li ha incorporati nel suo repertorio di tecniche di gestione del comportamento. Spence ritiene che essi possano essere utilizzati strumentalmente per apportare cambiamenti in una serie di aree e ha fornito esempi di casi di studio per ciascuno di questi cambiamenti. Per esempio:

  • I videogiochi possono essere usati per fornire le basi per sviluppare una relazione terapeutica, fornendo una “via di mezzo” accettabile per entrambe le parti per “incontrarsi”.
  • I videogiochi possono essere usati come “mezzo di contrattazione” per motivare i bambini a svolgere delle attività richieste.
  • I videogiochi possono essere utilizzati per sviluppare abilità sociali ed elicitare la cooperazione negli individui.
  • I videogiochi possono essere utilizzati per “abbassare le tensioni” e ridurre gli agiti aggressivi, cioè, le persone possono giocare ai videogiochi quando arrabbiate in modo che il “danno” sia inflitto ai personaggi fittizi piuttosto che ad altri o a se stessi.
  • Poiché i videogiochi sono basati su abilità e forniscono punteggi, questi possono essere confrontati e fornire una base per obiettivi futuri; ad esempio, superare i punteggi più alti personali può aumentare l’autostima dell’individuo.

Come si può vedere dai punti delineati da Spence (1988), i benefici delineati sono simili a quelli sostenuti da Gardner (1991). I giochi terapeutici possono aiutare i terapeuti a strutturare le sessioni di terapia e predispongono al trattamento dei vari disturbi.

Nel giusto contesto, i videogiochi possono avere un beneficio terapeutico positivo per una vasta gamma di diversi sottogruppi. In termini di compiti di distrazione, sembra probabile che gli effetti possano essere attribuiti alla maggior parte dei videogiochi disponibili in commercio. Tuttavia, uno dei problemi principali è che gli effetti positivi riportati provengono da videogiochi appositamente progettati per il trattamento di un determinato target piuttosto che da quelli già disponibili in commercio. È quindi difficile valutare il valore terapeutico dei videogiochi nel loro complesso. Come per la ricerca sugli effetti più negativi, può darsi che alcuni videogiochi siano particolarmente vantaggiosi, mentre altri abbiano un beneficio terapeutico minimo o nullo. Ciò che è chiaro dalla letteratura empirica è che le conseguenze negative del gioco dei videogiochi coinvolgono quasi sempre persone che sono utenti eccessivi. È probabilmente giusto dire che i benefici terapeutici possono essere ottenuti giocando moderatamente.

Chiaramente ci sono aree potenzialmente interessanti per la futura ricerca e lo sviluppo di questa tematica. I videogiochi hanno già trovato impiego in campo medico come strumento riabilitativo o psico-educativo, e il loro utilizzo in psicoterapia resta da esplorare. È necessario esaminare da vicino i fattori che facilitano i benefici terapeutici della Videogame Therapy in primo luogo, poiché essi (come, per esempio, l’apprendimento educativo) dipendono anche da altri fattori oltre alla natura del videogioco stesso. I game designer dovrebbero mantenere le esigenze di tutti gli utenti, inclusi coloro che necessitano di un aiuto clinico, mentre continuano a sviluppare nuovi giochi ed esperienze coinvolgenti, e i professionisti terapeuti dovrebbero integrare la terapia del gioco nei loro attuali piani di trattamento in modo che ulteriori studi possano essere sviluppati. In questo modo, le collaborazioni tra medici/terapeuti e progettisti di videogiochi produrranno probabilmente giochi specifici da utilizzare in psicoterapia. Se un individuo soffre di ansia, ADHD o un’altra forma di malattia mentale, i videogiochi e la terapia del gioco possono essere la chiave per la gestione dei sintomi.


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Bibliografia

  • Ceranoglu, T. A. (2010). Video games in psychotherapy. Review of General Psychology, 14(2), 141-146.
  • Farris, M., Bates, R., Resnick, H., & Stabler, N. (1995). Evaluation of computer games’ impact upon cognitively impaired frail elderly. Computers in Human Services, 11(1-2), 219-228.
  • Gardner, J. E. (1991). Can the Mario Bros. help? Nintendo games as an adjunct in psychotherapy with children. Psychotherapy: Theory, Research, Practice, Training, 28(4), 667.
  • Griffiths, M. (2004). Can videogames be good for your health?.
  • Lieberman, D. A. (2001). Management of chronic pediatric diseases with interactive health games: Theory and research findings. The Journal of ambulatory care management, 24(1), 26-38.
  • Reijnders, J., van Heugten, C., & van Boxtel, M. (2013). Cognitive interventions in healthy older adults and people with mild cognitive impairment: a systematic review. Ageing research reviews, 12(1), 263-275.
  • Spence, J. (1988). The use of computer arcade games in behaviour management. Maladjustment and Therapeutic Education, 6(1), 64-68.
  • Washburn, D. A., & Gulledge, J. P. (1995). Game-like tasks for comparative research: Leveling the playing field. Behavior Research Methods, Instruments, & Computers, 27(2), 235-238.
  • Wright, K. (2001). Winning Brain Waves. Discover, 22(3), 25-26.